Mer. Gen 1st, 2025

Guglielmo Peralta, Il Paradiso e la ScritturaIl Convivio Editore

Dopo attenta lettura del volume “Il Paradiso e la Scrittura”, una raccolta di quindici testi di Guglielmo Peralta per i tipi de Il Convivio Editore, ho sentito la necessità di rivedere, di rileggere il volume di versi, dello stesso Peralta, “Sul far della poesia”, pubblicato da Spazio Cultura Edizioni, di cui avevo fissato in un testo recensivo i tratti, certamente in altitudine di poesia, che ne in-formavano la scrittura poetica sul basalto di una fecondità animica e pensante di notevole livello.
Certamente, tra i due volumi, vanno evidenziate la coerenza concettuale senza alcuna contraddizione, l’integrazione dei contenuti, il senso segreto ed intimo sul quale ogni verso di Peralta si fonda.
Leggiamo, a pag, 56: “Se la poesia è l’essere che ci abita,…allora la ricerca non può prescindere dall’interiorità;,,,qui il pensiero si fa poetante”. Sottolinea, a proposito, Augusto Cavadi nel testo prefattivo: “ poesia non è, riduttivamente, la produzione letteraria in versi ma ogni attivita spirituale: è Principio creativo”, pag. 7.
Poesia, pertanto, è quell’operazione alchemica che sulla base della macerazione del vissuto, approda verso lidi di conoscenza interiore che fanno “impazzire di luce” il poeta in quanto può toccare, con dita di bellezza, la propria anima e ancora può dire, in uno stato di grazia: “Sei tu/ Ti conosco/ Anima del mondo/ Anima mia”.
Il “realismo ontologico”, è perno fondante di pensiero che si fa percezione reale, vissuto sul corpo del reale. Certamente non è un momento transitorio ma presenza permanente che cerca e trova la dinamica mutevolezza delle creature tutte nella propria interiorità cogliendo, di queste, il filo conduttore essenziale che le anima, le tiene in vita, quell’attitudine che le unifica pur mantenendone l’individuale differenziazione.
Questo “realismo” non è che quello degli “occhi”, dello “s-guardo”, che rimandano alla visione, alla luce, alla creatività, all’introspezione, alla Bellezza. Una Bellezza considerata non come fatto puramente estetico, di pelle, di contenitore, ma come manifestazione di quanto, nell’interiorità, si fa strada espressiva dandosi forma visibile ed udibile. Non una forma nuda e cruda, pertanto, ma una forma “trasfigurata”, che lasci intravvedere l’interno, i contorni diafani ma prensili dell’anima, la presenza del divino che si concede alla visione, non più absconditus, ma nascosto unicamente per farsi cercare e trovare, in ciascuna cosa, intero in ogni frattale.
Non è che lo s-guardo di Orfeo che cerca e vuole Poesia, dentro, nelle profondità del Sé: Peralta-Orfeo vuole l’attimo degli occhi, la corrispondenza della luce che annulli le distanze e trovi la Parola in se stesso; un attimo divino, l’Aleph, per cui si può morire e rinascere, che tutto dice, che tutto riassume, “dove ha casa l’infinito” (pag. 44). Un istante solamente, certo, ma è quell’istante che viene tratto dall’infero per assurgere agli infiniti cieli, al giardino edenico dove la Parola è Essere, purissima Vita, “istante di grazia”, verità, Luce assoluta, sublime Silenzio che tutto dice, che tutto dona.
Il giardino edenico, paradiso perduto ma verso cui si tende, verso cui il poeta tende con passione, luogo non transitorio, non terrigeno ma di rigenerazione ed ascesi, non è che il supremo pensiero poetante, respiro creativo e, pertanto, voce del Creatore; non caso, non Caos ma ineluttabile presenza, interezza di Cosmos.
Così è che il verso, e poi i versi, in perenne contemplazione animica, in perenne consustanzialità, si fanno istantaneità poematica, onnicomprensiva, Parola in plenitudine di senso ed essenza.

                                                              Ester Monachino

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