di Francesco Principato
foto di Diego Romeo
Se Agatha Christie è l’autrice di gialli per antonomasia, il suo Testimone d’accusa è il dramma giudiziario per eccellenza. Scritto nel 1953, adattando un suo romanzo del 1925, l’aula di tribunale chiamata a giudicare il presunto assassino Leonard Vole si sposta in tutti i teatri del mondo riscuotendo ovunque larghi consensi. E dopo quasi due anni di repliche, il thriller scenico messo in piedi, molto fedelmente, da Geppy Gleijeses approda per le ultime rappresentazioni al teatro Palacongressi di Agrigento.
La traduzione del drammaturgo Edoardo Erba e la fedeltà della messinscena
La trascrizione dall’inglese, curata da un autore e regista come Edoardo Erba, ha permesso di mantenere integra l’originalità del testo. Pur trasferendo in italiano allusioni, modi di dire e ironie tutte anglosassoni, è stato possibile apprezzare in tal modo ogni discussione legale o passionale dei personaggi in scena. La regia di Gleijeses ha poi mantenuto ogni impostazione originale, senza deviazioni interpretative o salti temporali. D’altronde la tematica, sia essa giudiziaria o emotiva, è la stessa anche a distanza di cent’anni.
Il delitto passionale e la verità giudiziaria
Il giovane Lenard Vole si rivolge a un famoso avvocato perché la sua anziana e benestante amica Emily è stata uccisa in casa ed è su di lui che gli inquirenti puntano i loro sospetti. Unica prova della sua innocenza è l’alibi fornito dalla moglie tedesca Romain. Il principe del foro sir Robarts accetta il mandato di difensore ma in udienza la moglie dell’accusato cambia la propria versione innescando una serie di colpi di scena che… Non è giusto continuare con la trama perché anche se siamo in teatro è sempre di un thriller della Christie che stiamo scrivendo e quindi possiamo solo dire che lo spettatore sempre in assillo per l’esito finale.
Vanessa Gravina, Giulio Corso e Paolo Triestino, ma non solo
Vanessa Gravina nel ruolo di Romaine Heilger, la moglie dell’imputato, offre una interpretazione eclettica: il suo personaggio muta nell’emotiva coniuge in afflizione, nella passionale della donna ferita, nella fredda testimone e nella sconvolgente delatrice. Giulio Corso è perfetto nel generare dubbi e confusione sulla sua innocenza: a volte commovente e a volte ambiguo. Paolo Triestino è un perfetto lord inglese protagonista dell’alta corte: calato nel personaggio in maniera eccellente, trasporta gli spettatori in una realistica aula ti corte d’assise (con tanto di giuria popolare scelta fra il pubblico). Forse se un chiosa va fatta allo spettacolo è per un momento poco oltre la metà spettacolo in cui una certa lungaggine della diatriba dialettico-legislativa porta a alcuni minuti di calo di interesse. Ma è un attimo e poi si torna all’avvincente sviluppo dell’azione, ottimamente supportata dagli altri attori molto affiatati e calati nelle interpretazioni: la segretaria Greta – Erika Puddu e la governante – Gloria Sapio alleggeriscono il testo regalando ironici personaggi tutt’altro che anglosassoni, mentre gli inquirenti, giudici e legali Michele Demaria, Antonio Tallura, Sergio Mancinelli, Bruno Crucitti, Francesco Laruffa e Lorenzo Vanità con affiatamento conducono gli spettatori dallo studio legale all’aula della corte.
Applausi per l’epilogo veridico e non solo per attori e messinscena.
L’applauso liberatorio a sipario aperto quasi alla fine della rappresentazione ha testimoniato la tensione con cui il pubblico ha seguito tutto il processo di svelamento della verità storica e processuale e applausi per il saluto degli attori, più volte richiamati sul proscenio da un pubblico molto appagato.