di Francesco Principato
Il fu Mattia Pascal di Giorgio Marchesi fra teatro di narrazione e recital
Giorgio Marchesi si presenta in teatro dalla platea, appare fra il pubblico in cilindro e frac bianco mentre le luci della ribalta si accendono sul maestro Raffaele Toninelli, il suo contrabbasso e le diavolerie elettronico-musicali moderne. Il tempo di un saluto al pubblico che riempe il teatro, godersi l’applauso e ringraziare e poi via sulla scena in un balzo. Giorgio Marchesi si cala nei panni di Mattia Pascal, pronto a raccontare una storia conosciuta, una storia generata dal genio di Luigi Pirandello, una storia che non è nata per la scena ma che in tanti hanno portato fra le tavole del teatro.
Fedeltà letteraria e novità narrativa
L’attore e autore della messinscena comincia lo spettacolo con l’espressione, il linguaggio e il piglio dei protagonisti del teatro di narrazione. Il tono affabulatorio introduce i personaggi di Miragno che circondano il protagonista del romanzo: Bata Malagna, Roberto Pascal, Romilda, Oliva e tutti gli altri protagonisti del romanzo. Vengono presentati al pubblico, ne vengono mostrati i caratteri contrappuntati dalle note e musiche inusuali che Toninelli estrae dal suo corposo strumento e dagli effetti elettronici. All’inizio ci sembra di subire un riassunto di una storia già nota quando un guizzo trasforma la narrazione: cambio di tono, cambio di personalità, cambio di ritmo, e non solo quello musicale. Mattia Pascal scompare da Miragno per manifestarsi a Marsiglia, a Nizza in una nuova veste, finalmente libero da legacci e ingessature sociali o sentimentali. Mattia Pascal continua a raccontare la sua storia ma rappando le sue barre e danzando l’hip hop di una nuova vita, quella di Adriano Meis, finalmente libero dal passato.
La capacità istrionica di Marchesi e il racconto impegnativo di un finale noto
L’euforica nuova vita di Adriano Meis è sottolineata dalle ideazioni musicali del maestro Toninelli e dalle invenzioni coreografiche e recitative concepite dalla co-regista Simonetta Solder (compagna dell’attore). Lo spettacolo mostra una vivacità teatrale insolita per il cupo testo pirandelliano ma non dura molto: l’uomo nuovo si accorge però di non avere storia, né potrà esserci futuro. Per tornare a rapportarsi con la società in maniera integra non può fare a meno di ritornare a essere Mattia Pascal. Giorgio Marchesi ritorna nei vecchi panni, completa il suo percorso circolare, conclude la sua ottima esibizione di attore ritrovando e reinterpretando i vecchi personaggi abbandonati. Ma ormai sono altra cosa rispetto a quando li ha dimenticati e a lui non resta che rimanere un Mattia Pascal in disuso, anzi un Fu Mattia Pascal.
Fra alti e bassi, un esperimento narrativo ammissibile
Non è facile condensare un romanzo corposo in una narrazione di 70 minuti, non è facile intrattenere (in fondo è questo lo scopo di uno spettacolo) raccontando una storia nota, non è facile riuscire a trasmettere al pubblico tutto quello che si riesce a ideare e mettere in scena. La fatica accumulata alla fine da Giorgio Marchesi è testimone della difficoltà di questo lavoro che avanza fra alti e bassi, fra momenti di inerzia spettacolare della narrazione e altri di animate esibizioni musico-recitative. La bravura dell’attore è emersa in ogni cambio di modulazione, nella varietà di intonazione, in tutta la capacità di trasmettere la propria prestanza scenica. Eppure sarà perché la fine è nota (come in un famoso romanzo giallo), sarà che la scelta dell’asciugatura testuale deve per forza lasciar fuori passaggi fondamentali del romanzo, alla fine l’applauso tributato a Giorgio Marchesi è tutto meritato sì, ma qualche dubbio sull’intensità spettacolare resta.
D’altronde se Luigi Pirandello non ne ha fatto una commedia…








