di Nicolò D’Alessandro
Sono tempi grami questi. Incomprensibili. Tutti parlano di democrazia, di pace, di giustizia, di progresso. Ne parlano anche coloro che sostengono la guerra e altri convinti che per conquistare e difendere la pace bisogna usare le armi. Va affermandosi sempre più un inedito vento bellicista che sostituisce e deliberatamente difende l’idea sciagurata del riarmo contrapposto al disarmo che abbiamo vissuto negli anni passati e che ha consentito all’Europa, la nostra casa comune, un lungo periodo di pace.
I governanti dicono che bisogna difenderla, bisogna armare l’Europa per aver più sicurezza. Rispetto a cosa, rispetto a chi? Difendere l’Europa, ma quale? Quella la cui esistenza si regge solo nell’aver inventato e avere in comune l’euro? Ignorando colpevolmente che manca una condivisione di intenti, un’etica comune, una politica comune che la rappresenti davvero senza egoismi nazionalisti o interessi di parte. In Italia, e non soltanto, sarebbe opportuno riaffermare l’idea di una comunità che esprima quei valori fondativi basati sulla Democrazia liberale così come è stata costruita dopo il 1945.
Un timido e confuso tentativo, all’insegna di un evento apartitico, il 15 marzo scorso è stata la manifestazione promossa dal giornalista Michele Serra a sostegno dell’idea di Europa unita e solidale. A Roma, a Piazza del Popolo, i diversi schieramenti politici, gente comune e curiosi tutti insieme esibivano la bandiera blu dell’Europa. E solo quella. Pochi gli interventi costruttivi, ma 50 mila persone erano presenti.
Dodici stelle dorate a cinque punte disposte in cerchio su un campo blu formano la bandiera ideata dal Consiglio d’Europa; un simbolo che conosciamo sin dal 1955 e che dal 1983 il Parlamento Europeo adottò come emblema delle Comunità europee, come volontà di un progetto politico condiviso che unisce tutti gli europei, trascendendo le loro diversità.
In Italia, spesso lo dimentichiamo, siamo stati tra i fondatori dell’UE. Molti sostenitori però lo hanno rimosso e manifestano, con finto spirito di rifondazione, l’idea di uno spazio comune condiviso, non meglio identificato.
Attualmente viviamo un’Europa che può solo riconoscersi in una bandiera comune e nell’euro, la moneta comune a tutti i paesi che la compongono ma assolutamente divisa su tutto il resto. Sono molti gli egoismi e gli interessi nazionali espressi da molto tempo per potere effettivamente identificare una visione comune e un progetto di Europa unita.
Stiamo vivendo un tempo accelerato all’insegna della menzogna. Sappiamo che “senza il concetto della verità la democrazia non può esistere”. A queste problematiche si aggiungono altre aggravanti. L’avanzare veloce dell’intelligenza artificiale che ha modificato tutti i processi ideativi e la concezione del tempo. In particolar modo l’avvenuto accentramento individuale dei giganti del teck che possono decidere ogni cosa, senza alcun controllo sociale e politico, circa i servizi pubblici, molti di questi essenziali per le comunicazioni e le informazioni. Sta avvenendo pericolosamente che il potere decisionale delle scelte politiche, economiche, sociali sia esclusiva proprietà di privati che stravolgono il concetto di democrazia sostenuti da una dittatura tecnologica che è in loro possesso esclusivo. Gli equilibri geopolitici sono sempre più precari. La società umana sta trasformandosi. Nel 2100 circa, la popolazione mondiale si assesterà intorno agli 11 miliardi. Elencarli vengono i brividi e lo sconforto.
La dimensione globale dei fenomeni e delle grandi trasformazioni economiche, demografiche e culturali degli ultimi 30 anni caratterizzano il nostro tempo e agiscono sulla vita di miliardi di persone in tutto il mondo che oggi presenta fragili equilibri economici e politici e profonde disuguaglianze socialia livello internazionale.Resta grande il divario tra i paesi più avanzati del pianeta e quelli in via di sviluppo.Oggi il mondo sta attraversando un periodo di forte instabilità.
Un enorme problema è il riscaldamento globale. A questo se ne aggiungono altri non meno gravi. L’aumento delle specie invasive che agiscono sull’equilibrio degli habitat naturali, la deforestazione e disboscamento, la desertificazione, la distruzione degli ecosistemi, l’erosione delle barriere coralline, l’inquinamento dell’aria, dei mari e degli oceani, l’aumento dei rifiuti tossici, lo stoccaggio e lo smaltimento dei rifiuti.
Non è facile risolvere questi problemi che hanno conseguenze profonde a livello globale sul modo di vivere delle società umane, sulla loro struttura demografica e soprattutto sui rapporti di forza tra i diversi paesi nell’economia mondiale. La situazione appare drammatica. Non siamo messi bene. Nonostante tutto ciò in questo complesso e problematico clima del nostro tempo i finti pacifisti parlano di pace e vogliono armare la guerra, senza averne consapevolezza. Esprimono tutta la stupidità e l’insensatezza di chi non ha capito nulla. Non riescono a mettere a fuoco quel che nel mondo sta avvenendo e quel che si prepara. Nessuno che si ponga contro questa guerra ibrida, invisibile, molto simile ad un videogame. Parlano tutti di pace, ma sappiamo invece che siamo immersi sino al collo in una maledetta guerra. Un atteggiamento infantile e irresponsabile frutto di ignoranza verso una guerra totalmente diversa da quella che credevamo di conoscere. Siamo di fronte ad un’altra cosa completamente diversa. Molti fingono di non capire oppure davvero non capiscono che siamo di fronte ad una realtà stravolta dall’avanzamento tecnologico dell’intelligenza artificiale che annulla il passato e lo trasforma in un nuovo capitolo della storia umana.
La cultura occidentale ha investito sulla crescita economica e tecnologica, mista al consumismo, facendone il fulcro primario della visione del mondo. La realtà attuale sta demolendo definitivamente questa visione, ma non offre altre alternative. Tutto è diventato incognita del futuro. Ogni idea, ogni progetto è soltanto prospettiva di una società giusta e solidale. Abbiamo scoperto la cultura del vuoto, la fluidità. Per difenderci dobbiamo allontanare da noi l’angoscia cronica, ignorare la confortante intima sicurezza di avere un passato. Siamo nell’incapacità di reagire, di immaginare alternative, costruire il nuovo. Ci troviamo impotenti di fronte a catastrofi d’ogni genere e a crisi continue. Agiamo a tentoni alla ricerca del superamento della malattia del contemporaneo cercando di identificarne le cause. Conosciamo soltanto gli effetti. Viviamo con rassegnata angoscia l’impossibilità di trovare soluzioni. La cultura che ci ha sostenuti sino ad oggi non fornisce soluzioni adatte al superamento del cambiamento epocale in atto.
Dopo la defezione voluta da Trump che smantella di fatto la Nato, considerata da sempre l’elemento fondamentale di difesa dell’Europa, il piano di riarmo invocato dalla leader tedesca Von der Leyen il cui obiettivo pretestuoso è prepararsi alla guerra nel 2030, nasconde sicuramente altri intendimenti politici ed economici. In Europa, invocando l’emergenza militare e le possibili minacce che non ci sono, più che di difesa contro il possibile nemico bisognerebbe parlare di riarmo morale ovvero restituire valore alla parola. Resuscitare il significato di pace, di tolleranza, di convivenza civile. Ma ciò non è facile.
Sono cambiati i linguaggi, l’uso delle parole che si trasformano in altre. Le parole hanno un valore fondamentale per l’esistenza umana, ci relazionano con il mondo, danno un significato alla nostra esistenza ma solo se esprimono correttamente le intenzioni e la volontà di comunicare veramente. Ci troviamo però di fronte all’uso fasullo, giudicante e discriminatorio della realtà interpretata a proprio piacimento. Sono le parole che formano e determinano la realtà. L’uso menzognero o scorretto non può che falsarla. Ed è quello che avviene nel linguaggio e nel pensiero di un’intera comunità. È utile ricordare che quando la parola muore anche la civiltà di un popolo muore.

